Günther BEHNISCH, Akademie der Künste, Berlin-Mitte, 2000-2005




Fondata nel 1696 sul modello delle accademie di Parigi e Roma, l’Akademie der Künste è la più antica istituzione culturale berlinese. La sede sulla Pariser Platz fu realizzata nel 1906/07 in stile neorinascimentale. Nel 1937 l’istituzione fu smantellata e trasformata nell’Ufficio generale per l’edilizia diretto da Speer. Dai bombardamenti della II Guerra mondiale si salvarono solo le sale espositive. Nel 1961 le parti superstiti vennero utilizzate come caserma per le milizie della DDR incaricate di sorvegliare il Muro. Nel 1994 Behnisch vinse il concorso per la ricostruzione dell’edificio; il suo progetto è suddiviso in più settori: il corpo di testa sulla Pariser Platz (per gli spazi di rappresentanza), il lato in profondità confinante con la DZ Bank (riservato alle stanze dei responsabili di settore dell’accademia), il foyer e il corpo centrale vetrato, il corpo (destinato agli archivi e ai depositi) che si affaccia sulla Behrenstraße con un prospetto ad intonaco giallo con aperture disposte regolarmente. Il concetto-guida seguito da Behnisch, era che un edificio pubblico a carattere culturale deve essere trasparente ed accessibile a tutti, e che si deve affacciare senza limiti visivi sulla piazza, a sua volta concepita come agorà. Nonostante la nuova costruzione riprenda l'allineamento dell'edificio storico precedente, così come imposto dalle autorità berlinesi, fu criticata in quanto si affaccia sulla piazza con un prospetto in vetro e non con una struttura classica in arenaria. La facciata, rompendo decisamente con i prospetti della Berlino "di pietra" e sfidando le rigide norme della "ricostruzione critica", fu oggetto di accese discussioni tra architetti, politici e opinione pubblica internazionale. Solo con l’intervento diretto del presidente federale Herzog, il progetto venne approvato. La facciata, con lastre di vetro inserite in un telaio metallico, è strutturata in elementi orizzontali e verticali seguendo le proporzioni dell’antico palazzo. Occupa un angolo sempre in ombra della piazza e per questo motivo di giorno ha un aspetto piuttosto anonimo. Solo col buio la sua luminosità interna attira l’attenzione dei passanti, invitandoli ad entrare per assistere alle esposizioni e agli eventi culturali. Nel corpo sulla Pariser Platz sono sistemati, oltre agli spazi di rappresentanza, sale per conferenze e per esposizioni; sull’ultimo livello si trova la terrazza panoramica. Superato l’ingresso, si accede al foyer, dove i percorsi si dividono verso la libreria, l'ala amministrativa, le sale antiche e il percorso pedonale. Se dall’ingresso si esplora l’interno, una complessità di forme si innalza sopra la testa del visitatore, con pareti che sembrano precipitare, piani che si confondono, passerelle e scale di vetro che si incrociano diagonalmente, dando origine ad una complessa struttura che ricorda quella di un vascello durante una tempesta; ad ogni spostamento si vengono a sovrapporre nuove prospettive che disorientano il visitatore. Sul lato vetrato parallelo all’Hotel Adlon, scorre un lungo pontile, al di sotto del quale si trova la caffetteria che si affaccia sul passaggio pedonale pubblico, lungo circa 100 mt, che collega la Pariser Platz al Mahnmal für die ermordeten Juden Europas. Sulla copertura piatta sopra la terrazza panoramica, sono state prestampate enormi foglie autunnali, che illuminano verso il basso con colori che vanno dal rosso al giallo al blu del cielo. La copertura del corpo centrale è invece irregolare e, vista insieme alle scale vetrate sospese nel vuoto e alle passerelle, dà l’idea che il tutto stia per crollare, come nelle proposte più drammatiche dell’espressionismo architettonico d’avanguardia. Ciò che rimane delle sale espositive dell'edificio storico, è stato integrato nella nuova costruzione e lasciato a vista in quanto reperti storici, sopravvissuti al Terzo Reich, alla II Guerra mondiale e all’epoca DDR. Queste "reliquie architettoniche" sono l’unica testimonianza, oltre alla Brandenburger Tor, della storia della Pariser Platz. (testo e immagini di Pierluigi ARSUFFI, tutti i diritti riservati)