Philip JOHNSON, American Business Center. Philip-Johnson-Haus / Quartier 106, Berlin-Mitte, 1994-1997
Complesso per uffici e negozi realizzato sul Block 106, un isolato storico della Friedrichstadt delimitato da Friedrichstraße, Schützenstraße, Mauerstraße e Krausenstraße. La
costruzione è stata concepita all’interno dell’American Business Center, su un’area urbana che, dopo la caduta del Muro, ha subito radicali trasformazioni architettoniche e
urbanistiche. La superficie di progetto è di circa 29.000 mq e comprende, oltre all’edificio, anche la piazza triangolare su Mauerstraße. L’incarico venne conferito dagli investitori
direttamente a Johnson senza concorso; in onore dell’architetto, uno dei padri storici dell’architettura del Novecento, dopo la sua morte (2005), l’edificio assunse la denominazione
di Philip-Johnson-Haus. La costruzione si sviluppa su otto piani e altri tre interrati; nel piano terra sono stati creati circa 3.000 mq per attività commerciali con negozi di prodotti
di alto livello, ristoranti e un centro per conferenze; nei sette piani superiori, accessibili da vani scala e da ascensori con cabina doppia, sono stati ricavati uffici per imprese
private e ambasciate per circa 18.000 mq. Nei piani interrati si trovano locali per servizi e un parcheggio per 200 vetture. Rispetto agli altri edifici che occupano gli isolati
sulla Friedrichstraße, la costruzione di Johnson non ha un corpo di fabbrica cubico; infatti, nella parte posteriore, la planimetria si adegua all’andamento arrotondato della
Mauerstraße. Dal punto di vista compositivo, l’architetto sembra aver giocato con il vocabolario architettonico classico e moderno. L’edificio si presenta come un cubo reticolato
in vetro, a cui è sovrapposta una robusta gabbia di pietra. Al di sopra del sesto piano è presente una trave in cemento armato che unisce tutte le fasce verticali piene. Questo
cornicione, posto a 22,90 mt dal livello stradale, sembra voler accentuare in modo ironico l’altezza di gronda richiesta dalle autorità berlinesi per la Friedrichstadt.
I pilastri sporgono al di sopra di questa fascia ed evocano una sequenza di torri separate tra loro da pareti vetrate. Per ragioni storico-urbanistiche, l’ultimo piano è arretrato
rispetto al filo stradale; sopra il piano di gronda, gli avancorpi formano degli abbaini semicircolari. Come in molti edifici della tradizione moderna, sulla copertura è presente
il tetto-giardino. I prospetti sono ritmati verticalmente da un'alternanza di spazi vuoti e pilastri in muratura rivestiti in granito; negli spazi vuoti sono state aperte ampie vetrate e
finestre, le ultime delle quali riprendono la forma classica dell’arco a tutto sesto. Al di sopra del piano terra scorre un corniciane bianco in metallo che avvolge l'intera costruzione;
su questa fascia sono stati inseriti i nomi dei negozi. All’interno dell’edificio si aprono due corti, una rettangolare e una trapezoidale, che portano luce naturale agli uffici. Gli
ingressi ai negozi e alle due corti sono messi in evidenza dalle pareti vetrate inclinate verso la strada, disposte su più piani. Al piano terra corrono dei "Passagen" che conducono
dalla strada all’atrio centrale a tre piani con copertura vetrata. Dal punto di vista visivo, la costruzione di Johnson, risulta piuttosto pesante e massiccia, mossa solo dalle grandi
vetrate inclinate, il tocco più sperimentale dell’edificio, e dal lato ricurvo posteriore. Prima della II Guerra mondiale, su questo isolato si trovava anche la
Bethlehemskirche, una chiesetta tardobarocca costruita nel 1737, quasi completamente distrutta nel 1943 ed infine demolita nel 1963. Nella pavimentazione in pietra dietro
l’edificio di Johnson, è stata raffigurata la planimetria della chiesa; successivamente sulla pianta è stata installata una struttura filiforme in acciaio che ne ricrea la sua
conformazione originaria. Sull’area antistante si trova la scultura urbana Houseball di Oldenburg e Van Bruggen; alta 11 mt, rappresenta un "fagotto" di oggetti domestici legati tra
di loro, che evoca la "casa" degli esuli boemi, giunti a Berlino nella stessa epoca di costruzione della chiesetta. (testo e immagini di Pierluigi ARSUFFI, tutti i diritti riservati)