Hans POELZIG, Haus des Rundfunks, Berlin-Charlottenburg, 1929-1931




È stata una delle prime costruzioni in Europa completamente dedicate alla produzione di trasmissioni radiofoniche. Fu realizzata da Poelzig dopo aver vinto un concorso. Per la sua progettazione, l’architetto non aveva allora alcun modello di riferimento; malgrado ciò è riuscito a creare una delle pietre miliari nell’architettura delle sedi radiofoniche. Il complesso è concepito come un impianto chiuso e rigorosamente simmetrico, avente la forma di un triangolo isoscele con i due lati obliqui arcuati. Dalle estremità dell’impressionante fronte principale su Masurenallee, lungo ben 150 mt, partono, verso la parte posteriore, le due lunghe ali ricurve che rinchiudono la vasta area interna. Dal grande atrio vetrato (Lichthof), tipica espressione dell'Art Déco degli anni Trenta, posto appena dietro l’ingresso principale, si sviluppano radialmente tre corpi trapezoidali che determinano quattro corti interne. Visto dall’esterno, il complesso appare come un compatto blocco geometrico, le cui dimensioni, forme e colorazione, ne fanno uno degli edifici di maggior impatto visivo di questa zona di Charlottenburg, caratterizzata da frammentazione edilizia e disarmonia urbanistica. Dal punto di vista formale si caratterizza per il suo monumentale modernismo, mentre i materiali usati e i suoi colori inseriscono il complesso architettonico nel filone espressionista, parallelo a quello funzionalista di quel periodo. L'imponente facciata è strutturata verticalmente mediante rivestimenti in klinker neri e piastrelle in ceramica di colore rosso-amaranto, i cui riflessi cangianti fanno vibrare le superfici. Il corpo centrale si sviluppa su 5 livelli, mentre le due ali esterne su 4; sono presenti numerose aperture quadrate disposte all'interno di una rigorosa griglia geometrica. L’architetto ha posizionato nelle ali perimetrali gli uffici e gli spazi redazionali in modo da proteggere dal rumore della strada gli studi radiofonici e le sale di registrazione posti nei corpi interni. La Großer Sendesaal è il cuore del complesso. Dispone di proprie fondazioni, indipendenti da quelle del resto del complesso, in modo da impedire la trasmissione delle onde sonore attraverso il terreno. Questa grande sala viene oggi usata per la musica d’orchestra e per le prove della Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin. La Kleiner Sendesaal, che non ha subito rilevanti trasformazioni rispetto alle origini, è oggi utilizzata per la musica da camera, per concerti jazz ed eventi speciali. Speculare alla Kleiner Sendesaal è il Hörspielkomplex (sala per la trasmissione di drammi radiofonici), che nel 2005 è stato completamente modernizzato sia spazialmente che tecnicamente con particolari rivestimenti fonoassorbenti che evitano echi e disturbi in fase di registrazione. Per i suoi particolari significati storico/culturali, già nel 1958 la Haus des Rundfunks venne inserita nella lista dei monumenti di Berlino da tutelare. Fin dalla sua nascita, questa sede radiofonica si è legata alle vicende politiche della capitale. Nata come sede della Berliner Funk-Stunde, negli anni 1931-1935 fu sede della Berliner Rundfunk con programmi regionali. Nel 1933 i Nazionalsocialisti vi insediarono la Reichssender Berlin. Nel Dopoguerra venne usata nello scontro ideologico della Guerra fredda. Benchè posta nel settore britannico, fino al 1952 fu controllata dalle forza sovietiche. Solo nel 1956 verrà consegnata alle autorità di Berlino Ovest. Dopo ampi lavori interni di rinnovamento verrà definitivamente usata, a partire dal 1957, come sede della Sender Freies Berlin (SFB). Nel 1986-87 la Großer Sendesaal e la Lichthof furono restaurate secondo i disegni originali di Poelzig; la luminosa Lichthof, alta oltre cinque piani, con le sue gallerie in klinker giallo e con le particolari lanterne, è tornata al suo antico splendore. Nel 1992 la SFB divenne la radio locale per l’intera Berlino, e la Ostdeutscher Rundfunk Brandenburg (ORB) prese il suo posto. Nel 2003 la SFB e la ORB furono fuse nella Rundfunk Berlin-Brandenburg (RBB). (testo e immagini di Pierluigi ARSUFFI, tutti i diritti riservati)